mercoledì 31 ottobre 2012

Old man

Se 15 anni fa mi avessero detto che prima o poi mi sarei trovato allo stesso tavolo del mio professore di fisica del liceo, versandogli del Brunello e ascoltandolo cantare e suonare la chitarra avrei parlato di fantascienza… ebbene, a volte, la fantascienza diventa realtà.
Alla fine di luglio, alcuni vecchi compagni con i quali, fortunatamente, ho ancora degli ottimi rapporti, hanno avuto la bella idea di organizzare una cena di classe  in versione estremamente ristretta, con il suddetto professore nel ruolo di “special guest”. Già, perché il rapporto di questo insegnante con la nostra classe è stato sempre speciale . Iniziò proprio nel ’92, con noi,  e fummo la prima classe che  portò dal primo alla maturità, quando fu anche membro interno nella commissione d’esame.
Scanzonato e lunatico, preparato ma a volte svogliato, grande esperto di musica, valido chitarrista con una buona voce, faccio fatica a ricordarlo in quella aura di autorità che in genere si riserva ai vecchi professori. Probabilmente a causa dei soli 17 anni di differenza di età non si creò mai quel muro che in genere mantiene alunni e insegnanti al proprio posto.
Ma torniando a bomba.. il tema della serata, che doveva essere “il bosone di Higgs”,è stato liquidato in cinque minuti ed è stato sostituito da una serie interminabile di mirabili esecuzioni  alla chitarra (impreziosite da una voce molto versatile) di grandi classici da fine anni ’60 a metà anni ’80: Neil Young ( almeno 10 pezzi da “After the gold rush” e “Harvest”), James Taylor, Pink Floyd, Jethro Tull, Police, fino ad arrivare a delle esilaranti rivisitazioni di “Acquarello” di Toquinho e  “Dieci ragazze” di Battisti. Tutto con una naturalezza tale da farlo sembrare uno della compagnia piuttosto che un insegnante.
A volte la vita ci riserva delle curiose sorprese e ci mette di fronte al fatto che, bene o male, abbiamo tutti quanti bisogni simili, un po’ come l’ “Old man” della canzone di Neil Young.

Old man by aftermidnight78

venerdì 18 maggio 2012


Il compleanno passato da poco mi ha portato in casa questa tavola di alder ( l’essenza usata dalla fender per realizzare la maggior parte delle stratocaster) dalla quale affiora lo spirito evanescente del buon Jimi. Prontamente appesa nell’angolo di casa dedicato allo strumento, spero che infonderà alle mie strimpellate solitarie un po’ della sua inesauribile energia.  

mercoledì 16 maggio 2012

Buone abitudini



La si paga a prezzi d’inflazione la maturità, come diceva il buon Guccini quando era al massimo dell’ispirazione. Uno dei balzelli più salati da pagare riguarda la diminuzione del tempo libero, almeno per me.
Passo settimane in attesa di avere qualche ora libera da dedicare al libero cazzeggio, mi creo tali aspettative che paradossalmente, ma puntualmente, finisco sempre per restare deluso.
Allora preferisco tornare sui sentieri sicuri, quelli di una volta e mi ritrovo a spulciare i miei vinili alla ricerca di qualcosa che possa produrre istantanea soddisfazione.
Per carità non sono un fanatico del vinile, il motivo per cui lo ritengo infinitamente più gustoso di un cd è quello che sta all’esterno e non ha molto a che fare con il suono. Non ho competenze scientifiche per risolvere la questione e sebbene ad orecchio ho sempre avuto la sensazione che uno stesso disco suoni meglio su vinile che su cd non so bene se tale impressione sia dovuta al maggior fascino dei vecchi 33 giri o ad una vera e propria superiorità dell’analogico sul digitale… comunque poco importa.
L’emozione dell’ascolto in vinile inizia molto prima che la puntina atterri fragorosamente sul supporto, quando si osserva e si tocca la copertina, quando si scruta l’interno per vedere si oltre al disco ci sono contenuti speciali, foto, dediche. Chi non ha mai passato del tempo a riconoscere i personaggio della copertina del  Sgt. Pepper's? o a fantasticare sulle strane foto di Wish you were here cercando di capirne il messaggio? Chi non ha mai giocato con la zip di “Sticky fingers” o letto gli articoli della copertina-quotidiano di “Thick as a brick”? oppure, perché no, a sbirciare le ragazze seminude della copertina di “Electric Ladyland”. Sulla confezione del cd certe cose non sono neppure immaginabili… ehh, le vecchie abitudini non tradiscono mai.

martedì 8 maggio 2012

The fool on the hill


Ho gli occhi gonfi di sonno oggi: sveglia prima dell’alba e noioso viaggio di lavoro! Ho passato tutto il giorno lontano da dove volevo essere, ho potuto farlo solo con il pensiero! Appena rientrato ho controllato un paio di lavori a cui tengo molto: sono le piccole cose che mi danno le soddisfazioni più grandi, vedere qualcosa che le mie mani riescono a trasformare in quello che voglio mi fa star bene, tanto più se ciò che sto facendo e per persone a me care.
Spesso mi capita di sentirmi dire di sfruttare le capacità per scopi più "importanti"... in quei momenti mi sento come lo scemo sulla collina.. "The fool on the hill" forse il più bel pezzo scritto da McCartney (a mio parere... e vabbè, ho un debole per lui... nella produzione Beatlesiana in genere preferisco i suoi pezzi a quelli di Lennon...) mi piace la sensibilità con cui descrive questi semplici personaggi ( un altro esempio è "Eleanor Rigby"), la trovo molto vicina alla mia.
Comunque.. mi sento come lo scemo sulla collina, tutti pensano che sia pazzo mentre lui sa che i pazzi sono gli.. tutti mi dicono di puntare più in alto, ma non è quello che voglio... preferisco godermi le mie piccole soddisfazioni piuttosto che uno stipendi più pingue, preferisco pensare che ciò che mi fa alzare la mattina sia la passione per quello che faccio piuttosto che  il denaro, preferisco considerare le persone che lavorano con me colleghi, anziché chiamarli risorse umane, preferisco pensare a uomini che sostituiscono le macchine anziché al contrario, preferisco pensare alla fantasia e l'esperienza di una persona come il patrimonio più importante di un'azienda...mmm, questo mondo mi va immensamente stretto, molto probabilmente per limiti miei, quindi, quando posso quindi mi rifugio nelle mie pazzie.. senza badare agli altri, tanto so che i pazzi sono loro :)

The fool on the hill

Day after day, alone on a hill,
The man with the foolish grin is keeping perfectly still
But nobody wants to know him,
They can see he’s just a fool
And he never gives an answer.
But the fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning round.
Well on the way, head in a cloud,
The man of a thousand voices talking perfectly loud.
But nobody ever hears him
Or the sound he appears to make
And he never seems to notice.
But the fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning round.
And nobody seems to like him,
They can tell what he wants to do
And he never shows his feelings.
But the fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning round.
He never listens to them,
He knows that they’re the fools
They don’t like him. The fool on the hill sees the sun going down
And the eyes in his head see the world spinning round.

martedì 17 aprile 2012

George Harrison- Living in the material world

Le scadenze di questo Aprile si scontrano con il clima freddo e  piovoso che suggerirebbe ritmi compassati e sornioni. Fortunatamente ho sviluppato una certa abilità nell’arte di incastrare gli impegni come fossero tasselli del tetris e per giovedì sera ho ritagliato un angolino tutto per me da dedicare alla visione di “George Harrison – Living in the material world”, il film documentario di Martin Scorsese.
Sinceramente non so cosa aspettarmi, la durata clamorosa di 208 minuti mi spaventa non poco (per carità, ho fatto maratone ben più lunghe, ad esempio con “The Beatles Anthology”, il set di 5 DVD…)  ho paura che stare seduto al cinema per tre ore e mezza possa pregiudicare il livello di attenzione o addirittura favorire un sonnellino. Ho letto qua e là pareri discordanti, diverse critiche sull’opportunità di realizzare un documentario attingendo direttamente    dall’archivio familiare (in genere più mi avvicino alla sfera privata di un artista più viene meno il suo fascino), ma sono decisamente curioso di approfondire la conoscenza del Beatle che insinuandosi di tanto in tanto nel duopolio Lenno-McCartney ha saputo tirar fuori perle come “Something” , “ While my guitar gently weeps”, “Here comes the sun” e “Taxman”.
Giovedì 19 Aprile

lunedì 19 marzo 2012

Boring stories of… glory days



Passata la soglia dei 30 ho notato una certa facilità nel mettere su chili di troppo, soprattutto durante l’inverno. Così ho preso la buona abitudine di correre, in genere da Marzo due o tre volte la settimana vado nella riserva naturale della vicina Abbadia di Fiastra per fare un po’ di movimento. Evidentemente non sono il solo a dover fare i conti con il rallentamento del metabolismo visto che negli ultimi giorni mi è capitato di incontrare (singolarmente) quattro compagni di liceo dediti alla mia stessa attività. In queste occasioni la corsa si  trasforma in passeggiata e si iniziano i classici discorsi sui bei tempi andati, i glory days, per dirla alla Springsteen.I ricordi delle sbronze durante le gite, gli stratagemmi per copiare durante i compiti in classe e le interrogazioni esilaranti sono ancora scolpiti nella nostra memoria, dopo 15 anni dal diploma.
Con alcuni sono un po’ in imbarazzo all’inizio, mi capita di confrontare la strada che hanno fatto loro con quella che ho fatto io e mi vedo molto indietro, perdente; non nel risultato raggiunto, ma nell’impegno profuso nel cercare di raggiungere il risultato. La mia è stata la scelta più facile e scontata di tutte quelle che mi si presentavano davanti, ho percorso una strada già segnata senza dovermi sforzare troppo.
A volte credo che se potessi tornare indietro farei altre scelte; mi metterei di più in gioco, sfruttando di più l’incoscienza tipica dei 18 anni per gettarmi in altre imprese… probabilmente è per questo che ho tutta questa nostalgia per i miei “Glory days”

mercoledì 14 marzo 2012

L'alba dentro l'imbrunire...

                      "e il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire"


martedì 6 marzo 2012

Long live David Jon Gilmour



Ho dedicato la scorsa domenica pomeriggio ai soliti vinilici ascolti, favoriti da un pranzo a base di carne e Nero d’Avola molto carico e con un persistente retrogusto di tabacco e cacao.
La mia solita smania di saltellare qua e là da un Lp all’altro ha trovato stranamente un rapido conforto in un album che non avevo il piacere di sentir danzare sul piatto da un bel po’ : “Wish you were here” (1975) dei Pink Floyd.
Ahhh, quanti pigri sabato pomeriggio di primavera ho passato ad ascoltare questo disco, mentre fantasticavo sulle foto della copertina; non mi ha mai convinto del tutto, mi ha suscitato reazioni sempre diverse, a volte diametralmente opposte, ma alcuni suoi passaggi riescono a toccare delle corde che nessun altro disco tocca.
Un mio amico ha definito in modo alquanto sarcastico il successo dei Pink Floyd come frutto del “più redditizio senso di colpa della storia della musica”, tutto sommato, pur essendo una presa di parte molto netta ha una base di verità. Anche questo disco, infatti, ruota intorno alla figura del “diamante pazzo” che lanciò il gruppo dall’underground londinese verso il successo mondiale.
Comunque non era questo l’oggetto del post, quindi torniamo a bomba. L’ascolto della liquida stratocaster di “Shine on you crazy diamond”, che si destreggia su una scala blues di Sol minore sopra un maestoso tappeto d’organo mi ha fatto ricordare che oggi è il compleanno di uno dei miei Guitar Heroes per eccellenza: David Gilmour.
Pur non essendo un mostro di tecnica, non avendo una velocità esagerata e gironzolando  sempre ancorato saldamente alla pentatonica, l’espressività e il gusto nella scelta della direzione da dare ai suoi soli hanno reso immortali molti pezzi dei Pink Floyd. La sua plettrata decisa, il suo tocco morbido ed i suoi bending estremi hanno creato uno stile caldo, evocativo e difficilmente riproducibile, capace di riuscire a non rendere mai banale e scontato il fraseggio più semplice. Quando mi è capitato di ascoltare i suoi soli eseguiti da altri chitarristi non ne ho trovato nessuno in grado di raggiungere lo stesso livello di espressività, pur parlando di gente del calibro di Snowy Withe, Andy Fairweather-Low o Doyle Bramhall II, che hanno suonato in vari tour con Roger Waters. La  sua musica è un magnifico veicolo di emozioni.

Con la speranza di avere l’occasione di vederlo di nuovo porgo i miei migliori auguri per i suoi 66 anni al buon vecchio David

giovedì 1 marzo 2012

America

Ogni volta che sento il peso di essere cresciuto sento ronzare nella mia testa “America” di Simon & Garfunkel. Quando frequentavo ancora il liceo pensavo che a 34 anni la mia vita avrebbe raggiunto un equilibrio, credevo che avrei avuto una risposta per tutto, ero convinto che quell’inquietudine che si ha dentro a 18 anni sarebbe sparita. Invece mi ritrovo con i capelli che iniziano ad imbiancare  (e purtroppo anche a diradarsi) senza sapere ancora di preciso quale strada prendere, o meglio: senza sapere se la strada che ho preso sia quella giusta o meno. Mi pare di aver letto da qualche parte un aforisma, credo fosse di Berthold Brecht, che diceva che i quarantenni più interessanti che conosceva erano quelli che ancora non sapevano cosa fare della propria vita…  chissà, forse risulterò interessante, ma ogni tanto l’inquietudine diventa quasi insopportabile, cerco conforto e sicurezza nella mie abitudini, ma sento che non mi basta.
I protagonisti della canzone sopra citata partono in un viaggio alla ricerca dell’America, ma dopo l’iniziale entusiasmo prendono coscienza, con non poca frustrazione, che essa è solamente un’illusione e che probabilmente il sogno americano non si realizzerà mai.

Let us be lovers we'll marry our fortunes together."
"I've got some real estate here in my bag."
So we bought a pack of cigarettes and Mrs. Wagner pies
And we walked off to look for America

"Kathy," I said as we boarded a Greyhound in Pittsburgh
"Michigan seems like a dream to me now"
It took me four days to hitchhike from Saginaw
I've gone to look for America

Laughing on the bus
Playing games with the faces
She said the man in the gabardine suit was a spy
I said "Be careful his bowtie is really a camera"

"Toss me a cigarette, I think there's one in my raincoat"
"We smoked the last one an hour ago"
So I looked at the scenery, she read her magazine
And the moon rose over an open field

"Kathy, I'm lost," I said, though I knew she was sleeping
I'm empty and aching and I don't know why
Counting the cars on the New Jersey Turnpike
They've all gone to look for America
All gone to look for America
All gone to look for America

martedì 21 febbraio 2012

Prossimi appuntamenti

Le giornate si stanno progressivamente allungando e nelle ore più calde si sentono profumi che preannunciano la primavera. Nel prossimo fine settimana le temperature saliranno e potrò soddisfare un po’ l’impazienza che sento per l’arrivo della bella stagione. Alcuni spiacevoli avvenimenti hanno reso questi ultimi giorni un inferno ed adesso che la situazione sta tornando lentamente alla normalità sento un gran bisogno di programmare qualche breve ma ristoratrice evasione da mettere in atto nel prossimo futuro.   
Due date sono già fissate in agenda, ma questo è il periodo in cui si definiscono in tour estivi e bollono in pentola altre interessanti novità. Voglio lasciarmi trasportare in un’altra dimensione dalla chitarra liquida di Metheny ( Perugia, 12 luglio); vorrei confrontarmi con un pezzo di storia assistendo ad un concerto di Sonny Rollins ( Perugia, 13 Luglio- data che si sovrappone all’esibizione dell’inossidabile coppia formata da B.B. King e la sua Lucile) e non vorrei perdermi uno dei miei guitar heroes che non ho ancora visto dal vivo: Steve Lukather, con i Toto a Lucca  il 29 luglio (tra l’altro sarebbe un’ottima occasione per tornare per l’ennesima volta in questa meravigliosa cittadina)
Speriamo che si aggiungano altre date, non c’è niente di meglio dell’accoppiata concerto-week end fuori per combattere il logorio della vita moderna!

venerdì 10 febbraio 2012

Eric Clapton - Unplugged - 1992



Ci sono cd che una volta guadagnato il posto nel lettore della mia auto non hanno nessuna intenzione di abbandonarlo, il disco del momento è “ Unplugged “ di Eric Clapton, 1992.
Sarà che ultimamente ho ripreso in mano la chitarra acustica dopo molto tempo, sarà perché gli anni passano,  i capelli imbiancano e non sono più il giaguaro di una volta.. ma ascoltare questa registrazione live rigorosamente acustica mi dà parecchi spunti, mi infonde calore, mi consola, mi commuove,  mi fa sorridere, insomma, mi regala tanta emozioni.
La qualità della registrazione è ottima, in linea con quella degli altri notevoli MTV Unplugged (tra i quali spiccano, a mio giudizio, quello dei Nirvana e quello degli Alice in chains), la scelta dei pezzi è azzeccata, i musicisti sono di valore assoluto, gli arrangiamenti acustici per i pezzi nati elettrici come “Layla” e “ Old love” riescono a non far rimpiangere gli originali, anzi, dal punto di vista del feeling il risultato è addirittura migliore.
La registrazione avviene nel gennaio del 1992, neanche un anno dopo la morte di Conor, il figlio che Clapton ebbe con Lory Del Santo, la sofferenza interiore che il chitarrista patisce in un momento così delicato imprime al disco una nota fortemente intima ed il contesto e le modalità in cui il concerto si svolge favoriscono un’atmosfera in cui l’artista si apre e mostra le sue ferite condividendole con i pochi presenti.
Il culmine di tale manifestazione  di sofferenza è l’esecuzione di “Tears in Heaven”, dolce ballata dedicata alla recente scomparsa del figlio.
Anche dal punto di vista professionale Slowhand non viene da un periodo roseo, gli anni ’80 hanno segnato il picco più basso della sua creatività e lo hanno visto protagonista più che altro di vicende di gossip.
In un momento di smarrimento cosa è meglio fare se non ritornare alle origini per ritrovare la necessaria sicurezza?
È proprio questo quello che fa il chitarrista di Ripley, torna indietro fino alle radici della musica che da sempre lo ha appassionato e gli ha permesso di esprimersi: il blues. Declinato, per l’occasione, nella sua versione più genuina, quella acustica.
Forse il pezzo più debole del disco lo troviamo proprio all’inizio,  “Signe” è una bossa nova che sembra avere la funzione di riscaldare i musicisti per i pezzi a seguire, con i quali non ha molto a che spartire, se non la centralità della chitarra.
“Before you accuse me” è un classico blues a 12 battute di Bo Diddley suonato in fingerstyle in cui le chitarre di Clapton e Fairweather-Low si intrecciano alla perfezione tessendo ricami di note sui tre semplici accordi.
“Hey Hey” è un altro standard della musica nera, di Big Bill Broonzy. Questa versione discosta un po’ dall’originale e il Nostro ammette di non  essere mai riuscito a raggiungere la facilità di esecuzione necessaria per suonarla da solo, per questo si avvale di una seconda chitarra. Ne risulta forse il pezzo meno orecchiabile e meno accattivante dell’album, ma tremendamente ricco di fascino e del calore del delta del Mississippi.
Di seguito troviamo “Tears in heaven”, grazie alla quale Clapton confessa di essere riuscito a lenire e a superare lentamente la prematura scomparsa del figlio. Un semplice arpeggio supportato qua e la  dai fraseggi della seconda chitarra fa da sottofondo all’intensa voce di un padre che deve sopportare il dolore più grande. Una superba esecuzione vocale rende tangibile a chi ascolta la disperazione  per la grave perdita; un pathos mai raggiunto prima nella produzione dell’artista.
“Lonely stranger” è un piacevole intermezzo, un pezzo di livello leggermente inferiore al resto, ma che mette in luce doti canore che non ci si aspettano da Mr. Slowhand.
La traccia numero 6 ci riporta sulla vecchia strada maestra del blues, un blues vecchio quanto l’uomo: “Nobody knows when you’re down and out”; scritto da Jimmy Cox all’inizio degli anni ’20 e portato al successo da Bessie Smith con la sua incisione del 1929. Questo standard era già stato ripreso da Clapton in una magistrale rivisitazione elettrica in un altro disco da avere: “Layla and other assorted love songs”. La versione qui proposta è ovviamente in chiave acustica e più fedele all’originale, con un piacevole assolo di pianoforte di Chuck Leavell.
A metà del disco arriva il culmine, introdotto da una frase che invita gli ascoltatori ad indovinare di quale pezzo si tratti: “ See if you can spot this one!” Gli accordi sono gli stessi, la tonalità anche, ma al posto del micidiale riff di chitarra elettrica (il cui autore fu Duane Allman) ce n’è uno di chitarra acustica. Dopo qualche secondo qualcuno intuisce e scatta l’applauso, è proprio lei, “Layla” in una nuova, stravolgente veste. Scritta per manifestare il lacerante sentimento che aveva provato per Pattie Boyd ora, passati gli anni e raggiunta la maturità,  lascia spazio ad una più distaccata ma non meno profonda nostalgia.
Si passa alla chitarra Dobro e alla slide per “Running on Faith”, una delicata ballata che parla di un uomo innamorato che ripone tutte le speranze in questo sentimento.
Per la successiva “Walking blues”, classico di Robert Johnson, Clapton si avvale ancora delle Dobro e della slide. Solo chitarra e voce, per un’esecuzione perfetta sotto tutti i punti di vista; tra le centinaia di cover di questo standard  questa è probabilmente la più fedele nel rievocare il blues, definito come: “It's the worst old feeling I ever had”.
Spazio alla 12 corde per due movimentati classici come “Alberta” e “San Francisco bay blues”, la prima contiene un divertente assolo di piano mentre la seconda viene eseguita con tanto di armonica e di kazoo, come veniva proposta negli anni ’60 da Jesse Fuller, in versione “one man band”.
Ancora un pezzo di  Robert Johnson, “Malted Milk”, eseguito con il valido contributo di Fairwather-Low per poi arrivare ad un altro picco dell’album, la splendida rivisitazione acustica di “Old Love” che contiene due assolo, quello di chitarra acustica di Clapton e quello di pianoforte di Leavell che da soli valgono il prezzo del CD.
Si chiude con un altro intramontabile standard: “Rolling and Tumbling” con Dobro e slide, nella migliore tradizione blues.
La riuscita di questo album ruota intorno a più fattori,  i principali sono, a mio avviso,  la magnifica forma chitarristica e vocale di Clapton, la sua voglia e la sua necessità di rendere partecipi gli altri del suo dolore, per cercare di risollevarsi. Molto importanti poi sono stati i contributi degli altri musicisti, in primis il pianista Chuck Leavell, che ha conferito ai pezzi notevole dinamicità e li ha arricchiti con pregevoli assolo. In ultimo, ma non per importanza , la qualità delle registrazioni che ricreano fedelmente la magica atmosfera di un raccolto ed intenso live acustico.


  1. "Signe" (Eric Clapton) – 3:13
  2. "Before You Accuse Me" (Ellas McDaniel) – 3:36
  3. "Hey Hey" (Big Bill Broonzy) – 3:24
  4. "Tears in Heaven" (Clapton, Will Jennings) – 4:34
  5. "Lonely Stranger" (Clapton) – 5:28
  6. "Nobody Knows You When You're Down and Out" (Jimmy Cox) – 3:49
  7. "Layla" (Clapton, Jim Gordon) – 4:46
  8. "Running on Faith" (Jerry Lynn Williams) – 6:35
  9. "Walkin' Blues" (Robert Johnson) – 3:37
  10. "Alberta" (Traditional) – 3:42
  11. "San Francisco Bay Blues" (Jesse Fuller) – 3:23
  12. "Malted Milk" (Robert Johnson) – 3:36
  13. "Old Love" (Clapton, Robert Cray) – 7:53
  14. "Rollin' and Tumblin'" (Muddy Waters) – 4:10


·                    Eric Clapton – Chitarra e voce
·                    Andy Fairweather-Low – Chitarra, armonica, mandolino
·                    Ray Cooper - Percussioni
·                    Nathan East – Basso, cori
·                    Steve Ferrone - Batteria
·                    Chuck Leavell - Pianoforte
·                    Katie Kissoon - Cori
·                    Tessa Niles - Cori

venerdì 3 febbraio 2012

Once I Was



Riordinando e catalogando le foto delle varie uscite in lungo e in largo per l’Italia è venuta fuori questa, scattata a Tuscania nel giugno del 2010… ricordo che feci una corsa sotto il diluvio per immortalare sotto l’arco  questi due turisti nordici che si appropinquavano all’ingresso della chiesa di San Pietro… Mi piaceva l’idea di una coppia che percorre il proprio cammino insieme, aiutandosi l’un l’altro a mettersi a riparo dalle intemperie della vita.
In realtà riguardandola adesso non mi suggerisce affatto alcuna sensazione di sicurezza, ma mi ricorda la malinconia e la nostalgia di un pezzo di Tim Buckley incluso nel meraviglioso "Goodbye and Hello": “Once I Was”.

Once I was by aftermidnight78

venerdì 27 gennaio 2012

Nobody knows you when you're down and out

Alcune canzoni sfidano il tempo e saltellano qua e là cambiando la forma ma non la sostanza.
Chissà se un tale di nome Jimmy Cox quando, quasi 90 anni fa, scrisse “ Nobody knows when you’re down and out” avesse minimamente idea della gloria che il destino aveva in serbo per la sua creatura. Ne dubito. Oltre al successo che ebbe verso la fine degli anni ’20, soprattutto grazie alla famosa versione di Bessie Smith, negli anni ’60 venne ripescata in chiave soul da Sam Cooke e da Otis Redding, poi ripresa nella sua originaria veste blues da Janis Joplin e dalla Allman Brothers Band , fino ad arrivare al potente rock blues di Derek and The Dominos.
La lista delle incisioni è in continuo aggiornamento e dagli anni ’80 altri artisti eccellenti come Billy Joel, Rod Stewart, B.B. King, Don McLean hanno contribuito a rendere questo pezzo immortale. La nota dolente arriva alla fine, quando come ultimo performer si legge il nome di Carla Bruni (Sic!).. ecco se c’è lei chiedo a gran voce di essere inserito anche io!
D’altra parte c’è poco da fare, mi diverto così e se dalle sconclusionate jams con il buon vecchio Frank non esce niente di buono devo suonarmela e cantarmela da solo, con scarsi risultati, ma enorme divertimento.

Nobody knows when you're down and out by aftermidnight78

lunedì 16 gennaio 2012

Tubular bells



Quel motivo ripetuto da tutti gli strumenti che in fila indiana entrano sopra una tappeto di basso dal sapore molto fusion mi ha svegliato presto stamattina.. già, proprio quello di Tubular Bells (lato A) di Mike Oldfield. Lo avevo in testa da ieri sera, mi ha cullato mentre mi assopivo tra le braccia di Morfeo e l’ho ritrovato lì stamattina quando la luce filtrata dalle persiane ha iniziato a colorare la stanza di arancione. Ho rispolverato il cd un paio di giorni fa perché avevo voglia di divertirmi un po’ nel variare la parte iniziale, quella utilizzata dall’esorcista, per intenderci. Invece in testa mi è rimasta la parte conclusiva, quella che mi ha sempre colpito di più. Se solo penso che l’opera è stata concepita e realizzata quasi esclusivamente da una ragazzo di appena vent’anni.. beh, resto senza parole, e provo un po’ di invidia e di tristezza per la mia mediocrità. Suono la chitarra, ma non sono un fenomeno e non mi sento affatto portato, mi interesso di vini ma non sono un sommelier, colleziono cd e vinili, passo ore ad ascoltare musica ma quelle poche cose che ho scritto al riguardo fanno pena, gironzolo in macchina per cercare panorami degni di essere immortalati con la macchina fotografica, ma i risultati non hanno mai niente di speciale, lavoro il legno da anni ma non posso definirmi falegname, costruisco chitarre ma non ho mai raggiunto la perfezione che vorrei… potrei andare avanti all’infinito!!

venerdì 13 gennaio 2012

The long and winding road to San Quirico




Una delle cose che più mi piace fare è guidare. In auto riesco quasi sempre a rilassarmi e a valutare con calma le questioni che mi assillano, aiutato dalla musica, ovviamente.
Una strada alla quale sono particolarmente affezionato è quella che porta a San Quirico d’Orcia, precisamente dal tratto che da Torrita di Siena passa per Montepulciano, poi Pienza ed infine conduce a San Quirico. Ci sono stato diverse volte, generalmente in primavera, e ogni tanto sento un bisogno profondo di tornarci. Se avessi potuto scegliere dove nascere avrei sicuramente scelto di nascere lì, tra quelle dolci colline di un verde che non è mai lo stesso, ma cambia enormemente col cambiare delle condizioni di luce e del vento; quei cipressi che conducono a qualche bel casolare di campagna e perché no… l’ottimo vino e l’ottimo cibo. Mi pare di aver letto una volta che a San Quirico si ha l’aspettativa di vita più alta in Italia… la val d’Orcia è davvero un posto in cui il tempo sembra scorrere ancora con i ritmi di una volta, il luogo ideale dove abbandonare ogni tipo di stress.
Ricordo con molto piacere la scappatella che ho fatto in zona a fine marzo. In un pigro sabato mattina di inizio primavera decido di fare qualcosa di gratificante per il corpo e per lo spirito quindi prendo qualche cd (circa 40) e mi metto in macchina alla volta della val d’Orcia.
Si susseguono ascolti quasi dimenticati, non ricordavo quanto fosse facile astrarsi dalla realtà ascoltando “If i could only remember my name” di David Crosby, oppure quanto fosse geniale e versatile la chitarra di Randy Wolfe “California”, leader degli Spirit in “Twelve dreams of Dr. Sardonicus… per non parlare di quel capolavoro assoluto di Tim Buckley, “Goodbye and hello”, che mi culla con la sua voce d’angelo.

Quando arrivo dalle parti di Moltepulciano è il turno di “Let it be” dei Beatles, perché “The long and winding road” mi fa pensare proprio a quella strada che solca le colline tra Montepulciano, Pienza e San Quirico… il viaggio è stata un’esperienza quasi catartica e alla vista di quei dolci rilievi dominati dal monte Amiata mi si è aperto il cuore.
Il tempo di parcheggiare e mi si è aperto anche lo stomaco… quindi una sosta in uno degli ottimi ristoranti della zona è obbligata. Pappardelle al cinghiale, filetto e due calici di Brunello.. ahhh, ritemprato nel corpo e nello spirito faccio una bella passeggiata per le vie del paesino poi l’immancabile capatina a Montalcino per comprare qualche bottiglia del già citato Brunello da regalare agli amici e dopo riprendo la via di casa, fermandomi di tanto in tanto a fare qualche foto.. peccato che la luce quel giorno non fosse delle migliori.
Insomma, non posso lamentarmi: ottimo cibo, ottimo vino, ottima musica, magnifici luoghi e, a differenza di quanto accade di solito quando sono solo, anche ottima compagnia!

lunedì 9 gennaio 2012

Golden Slumbers

In queste insolite giornate di ferie ho dato sfogo a  tutte le mie passioni, cercando di incastrare nell’arco delle 24 ore quante più attività possibili. Musica, corsa, cucina, viaggi in macchina, degustazioni di vini in compagnia di amici, falegnameria, fotografia, poker… sono riuscito a ricaricare le pile stando sempre in movimento. Non potevo sperare di meglio.
Ho finalmente potuto iniziare la realizzazione di un paio di mobili che avevo in mente da tempo ed  ho potuto fugare finalmente i dubbi sulla fattibilità di certe cose, o meglio, ho fugato i dubbi sulla mia presunta incapacità nel fare certe cose. Purtroppo la quotidianità mi impone un percorso estremamente rigido e confinato entro limiti invalicabili… ed è proprio il superamento di certi limiti che mi regala le soddisfazioni più grandi.
La musica, suonata ed ascoltata, ha fatto da padrona, ad orari improbabili e a volumi improponibili, in macchina, a casa, all’aperto, in cuffia.
Immancabili come al solito sul piatto del giradischi i Beatles, quelli degli album della maturità, da Rubber Soul in poi. Ho sempre sentito la sensibilità di McCartney vicina alla mia, devo ammettere che preferisco le sue canzoni a quelle di Lennon, (mi riferisco solamente al periodo di attività dei Beatles e non alle loro carriere da solisti) “Eleanor Rigby”, “The fool on the hill”, “She’s leaving home” denotano interesse nei confronti di personaggi ai margini o fuori dagli schemi, un aspetto che generalmente apprezzo nelle persone.
Vista l’ingente quantità di strumenti musicali che mi ritrovo per casa ho pensato bene ( o male, dipende) di registrare qualcosa proprio di McCartney, purtroppo la mancanza di un’adeguata attrezzatura per la registrazione mi ha imposto di pensare ad una canzone breve senza possibilità di sovraincidere più di una traccia per il basso e un’altra per qualche arrangiamento qua e là, quindi “Golden Slumbers” è stata la scelta più ovvia.  Piano (ehm… tastiera, il pianoforte dopo il trasporto si è orrendamente scordato), voce in presa diretta,  basso (in realtà è una chitarra, ma di bassi al momento non ne ho) e qualche riempimento sovraincisi, per una dolce ninna nanna che apre la progressione ( Golden Slumbers, Carry that weight, the end) che porta a termine “Abbey Road” e quindi le registrazioni dei Beatles ( Let it Be è uscito dopo ma era stato registrato in precedenza) Purtroppo il risultato finale è quello che è, ma il divertimento nel fare certe cose supera di gran lunga l’imbarazzo che provo nell’ascoltare il prodotto finito.


Golden Slumbers-1 by aftermidnight78

giovedì 5 gennaio 2012

Key to the highway

Cosa succede quando due chitarristi si incontrano? ... mmm se si tratta di me e del mio amico Frank si farà di sicuro bisboccia e si finirà per strimpellare il motivetto di "lo chimavano Trinità" (fischio incluso), quello di “il buono, il brutto, il cattivo”  oppure "funiculì funiculà".... ma se questi due chitarristi si chiamano Eric Clapton e Duane Allman (accompagnati da  un bassista e un batterista di grande spessore) il discorso cambia, ne può venir fuori un disco estremamente interessante! "Layla and other assorted love songs" (1970) questa è la fatica del gruppo chiamato "Derek and the Dominos", nome anonimo che non fa pensare al sodalizio dei due come ad un'operazione commerciale( uno di quei casi in cui si può parlare di affinità elettive…). Ultimamente sto consumando questo cd nel lettore della mia auto, le lunghe cavalcate delle due chitarre sembrano perfette per i viaggi di una certa durata. Scorre in modo molto piacevole  ed alterna poderosi blues a languide ballate, passando per un omaggio a Hendrix: una "Little wing" riarrangiata che a mio dire tutto sommato non sfigura, e un paio di pezzi in cui affiora l'animo confuso di Clapton, che non riesce a frenare la sua passione per la moglie del suo migliore amico ( Patty Boyd, moglie di George Harrison)... L’apice viene raggiunto con "Key to the Highway", classico blues di  Big Bill Bronzy, che  è da ascoltare in repeat… gli assoli della slide di Allman e quelli della strato di Clapton si rincorrono lungo dieci infuocati minuti supportati da una ritmica incalzante e trascinante. Se solo penso che si tratta di una jam improvvisata.. ebbene, la sessione di registrazione era terminata e i tecnici stavano tornando a casa, quando Clapton e Allman sentirono che nello studio vicino un tale stava incidendo una cover di  “Key to the higway” così presero spunto e iniziarono a strimpellare (no, strimpellare non è il termine corretto, io strimpello, loro suonavano!). Il loro produttore, Tom Dowd, avendo intuito che la jam poteva essere molto interessante, corse fuori a richiamare i tecnici, ordinando loro di ritornare ai loro posti e registrare quei due fenomeni che si rimpallavano la parte ritmica e quella solista con una naturalezza sbalorditiva! (forse se avessi avuto anche io un compagno di suonate avrei imparato davvero a suonare la chitarra, ho dovuto invece accontentarmi delle mie inconstanti strimpellate solitarie) 

Purtroppo Derek and the Dominos hanno vita breve, un album e un tour.. il 1971 vedrà Allman morire in un incidente motociclistico e  Clapton autodistruggersi con l’eroina.. sparirà per un paio di anni dalla circolazione, tornando ad esibirsi solo nel 1973, nel famoso  concerto al Rainbow Theatre, organizzato per lui da Pete Townshend.