martedì 29 novembre 2011

Paul is dead... alla faccia!

Leggenda vuole che il vero Paul McCartney sia deceduto in un incidente stradale nel 1966 e che sia stato sostituito con un sosia…ecco delle due l’una: o il sosia è molto meglio dell’originale, o a quell’ incrocio Paul fece un patto con il diavolo, come il già citato Robert Johnson, e in cambio della sua anima ricevette una longevità musicale (quasi) senza pari.
Già, perché il concerto di sabato sera a Casalecchio è stato eccezionale, assolutamente impeccabile, per quel che ricordo, persino migliore di quello ai fori imperiali nel 2003.
La scaletta è infinita, divisa tra gli indimenticabili successi scritti da lui con i  Beatles e il meglio della sua carriera da solista, passando per alcune citazioni come il celebre riff di “Foxy Lady” di Hendrix, “Give peace a chance” di Lennon e “Something” di Harrison suonata all’ukulele.
Dall’inziale “Magical Mistery Tour” al conclusivo medley “Golden Slumbers”- “Carry that weight” – “The end” ( che chiude “Abbey Road” e quindi anche le incisioni in studio dei Beatles) la tensione non è scesa per un istante e ha raggiunto il culmine con la pirotecnica “Live and let die” e la scatenata “Helter Skelter” . Più pacati, ma non per questo privi di emozioni, sono stati i toni delle delicate ballate acustiche come “ Blackbird” e l’immancabile “Yesterday” alla chitarra o “Let it be “ al piano.
Non penso ci si potesse attendere di più, la genersosità della scaletta e la verve di questo gentleman di 69 anni sono andate oltre le più rosee aspettative e non credo di esagerare definendo questo evento come il concerto perfetto, e Sir. Paul McCartney come il re vivente del rock’n’roll.

mercoledì 23 novembre 2011

King of the blues




Non potrebbe essere una copertina di un disco intitolato “ King of delta blues: the complete recordings”? Ovviamente ci si riferisce al delta del fiume Chienti e non a quello del Mississippi e magari potrebbe aprirsi con un “must”:

I went to the crossroad, fell down on my knees
I went to the crossroad, fell down on my knees
Asked the lord above "Have mercy, save poor Bob, if you please"
Mmmmm, standin' at the crossroad, i tried to flag a ride
Standin' at the crossroad, i tried to flag a ride
Didn't nobody semm to know me, everybody pass me by
Mmmm, the sun goin' down, boy, dark gon' catch me here
Oooo, eeee, boy, dark gon' catch me here
I haven't got no lovin' sweet woman that love and feel my care
You can run, you can run, tell my friend-boy Willie Brown
You can run, tell my friend-boy Willie Brown
Lord i'm standin' at the crossroad, babe, i believe i'm sinkin' down




Crossroad blues, uno dei pezzi più conosciuti di Robert Johnson, forse quello che più di tutti alimenta le varie leggende sul suo conto.
Si dice, infatti, che il suo impareggiabile stile chitarristico, per di più elaborato nel giro di brevissimo tempo, sia frutto di un patto con il diavolo. Spinto da una voce interiore si incontrò ad un incrocio, allo scoccare della mezzanotte, con un uomo vestito di nero e con il volto coperto, il quale in cambio del sacrificio della sua anima, gli conferì la sua geniale abilità con la chitarra, lasciandolo esausto a terra.
Oltre a questo pezzo ci sono molti altri riferimenti al demonio nelle poche canzoni registrate da Johnson, canzoni che riflettono il suo stile di vita di viaggiatore, donnaiolo, uomo di strada immerso nell'eccesso. Intorno alla sua morte c'è poca chiarrezza, forse intossicato dall'alcool, oppure ucciso da un uomo convinto che lui stesse corteggiando sua moglie. Morto a 27 anni ha lasciato meno di 40 pezzi registati, ma un'eredità musicale enorme; Rolling Stones, Eric Clapton, Led Zeppelin e tanti altri devono molto a Johnson.


Sempre a proposito di oscure leggende sui padri del blues che dire di Huddie Ledbetter, in arte Leadbelly?
Nel 1916 o 17 venne condannato a 30 anni di reclusione per omicidio, ma dopo soli 7 anni uscì dopo che il governatore locale gli concesse la grazia in seguito ad una domanda esposta sotto forma di canzone... la cosa incredibile è che anni più tardi, nel 1934, il trucco gli riuscì di nuovo!  Finito di nuovo in carcere, questa volta per tentato omicidio, face recapitare al governatore un disco sul quale da un lato erano incise le sue ballate, e sull'altro la sua domanda di grazia! Forse qualcuno l'ha sentito nominare perchè "Where did you sleep last night", il pezzo reso famoso da Kurt Kobain in Unplugged in New York del '94, l'aveva scritto lui una cinquantina di anni prima.
E che dire di Charley Patton? Incarnazione vivente della filosofia blues, fumatore, bevitore, viaggiatore, donnaiolo (8 mogli), superstizioso, irascibile, incarcerato almeno una volta, morto giovane! un prerfetto archetipo di bluesman maledetto! Amava dare spettacolo durante i concerti, suonando la chitarra appoggiato sopra le ginocchia o dietro la schiena, già nel 1930 a dispetto di tutti gli idioti che le fanno adesso. Lui e Blind Lemon Jefferson (il secondo in maggior misura) possono essere consideratii padri spirituali dei grandi bluesmen del Delta.


Ecco…  la mia vita ha ben poco a che spartire con quella di tali personaggi, ma non posso negare che a volte mi sento oppresso dalla quotidianità, mi sento in catene, completamente calato in un solco già segnato, senza la minima forza e possibilità di cambiare direzione . In questi momenti l’ascolto del blues, che è nato per trasmettere sensazioni simili a queste, e che ha su di me una sorta di effetto catartico. Questa musica infatti non ha il solo scopo di esprimere le proprie angosce, ma , portandoti nei posti più bui del tuo animo e  facendoti condividere i tuoi fantasmi con gli altri, riesce a darti una speranza per risollevarti ed andare avanti.   

martedì 22 novembre 2011

Promemoria



Avendo bisogno di appuntare da qualche parte i concerti che mi interessano ho pensato di farlo qui, in un luogo facilmente accessibile e soprattutto non soggetto a possibile “cestinamento”… già, perché sono solito appuntare in maniera molto sintetica le cose e i numeri in mille foglietti diversi che tengo in tasca che inevitabilmente butto via perché ho difficoltà a decifrare quello che ho scritto. Vabbè, bisogna accettarsi per quel che si è ed avere molta autoironia, credo sia fondamentale nella vita.
Torniamo al dunque, un appuntamento è ormai prossimo :

Paul McCartney a Bologna il 26 Novembre


Spulciando sui vari siti ho deciso di mettere in agenda i seguenti avvenimenti:


Radiohead a Roma il 30 giugno, mi sono avvicinato seriamente a questo gruppo da non molto tempo, ma non ho intenzione di perdermelo

Bruce Springsteen and the E-street band a Firenze il 10 giugno, fino ad ora il vero evento del 2012, spero di rivedere un concerto memorabile come quello di Milano nel 2003


James Taylor ad Ancona il 22 marzo – Sarà bene attivarsi per il biglietti, visto che i prezzi della platea del Teatro delle Muse non sono proprio abbordabilissimi non vorrei che quelli delle gallerie finissero subito…

Al di Meola a Bologna il 12 dicembre, lunedì, giorno infausto! Riuscirò a fare andata e ritorno tra casa e Bologna senza perdere un’ora di lavoro??

Johnny Winter, o quel che ne resta, a Rimini il 25 febbraio

The Musical Box a Roma il 26 gennaio – Non impazzisco per le cover band, ma non essendo nato negli anni 50 questo è l’unico modo che ho per assistere ad uno spettacolo simile a quello dei Genesis.

lunedì 21 novembre 2011

Quale funzione hai?

Altro fine settimana passato per lo più in macchina, altra domenica sera con il mal di schiena. Due giorni di musica, foto, cibo e vino. La pesante cucina tipica umbra in trattoria e un rosso di Montefalco molto carico hanno favorito un risveglio domenicale piuttosto lisergico, facendo rimbalzare tra i 4 neuroni attivi i versi di “ Il silenzio del rumore” di Franco Battiato, da Pollution (1972)

Il silenzio del rumore
delle valvole a pressione
i cilindri del calore
serbatoi di produzione...
Anche il tuo spazio è su misura.
Non hai forza per tentare
di cambiare il tuo avvenire
per paura di scoprire
libertà che non vuoi avere...
Ti sei mai chiesto
quale funzione hai?


Ti sei mai chiesto quale funzione hai?  Spesso capita che mi faccio questa domanda, la risposta, in genere, varia in base all’umore. La costante però è la desolazione nel constatare che questa vita fatta di valvole a pressione, cilindri di calore e serbatoi di produzione ci ruba il bene più prezioso che abbiamo: il tempo. Come è ben messo in evidenza in questi giorni in cui siamo considerati più che altro contribuenti e consumatori, la società contemporanea ci ha imposto una serie di sovrastrutture e comportamenti condizionati che, secondo me, ci distolgono dallo scopo migliore che possiamo dare a questa esistenza. Sono convinto che il meglio che possiamo fare, in questo periodo limitato e sconosciuto di tempo che ci viene dato da non so chi, sia cercare di condividere quanto più ci è possibile con i nostri simili. Come se tutti noi fossimo dei piccoli insiemi e il nostro vero successo sia avere più intersezioni possibili con gli atri.

giovedì 17 novembre 2011

1993

Ogni tanto scendo in garage a sistemare un po’ di cose, devo comprimere libri, quaderni e diari della mia adolescenza in spazi sempre più angusti per fare largo ad oggetti più recenti.
Spesso mi trattengo più del dovuto per rispolverare vecchi ricordi. Questa volta, da uno scatolone tenuto insieme da un centinaio di metri di nastro adesivo, è saltato fuori il diario del primo anno di liceo, 1992-93! Non ricordavo di avere il vizio di appuntare i voti dei compiti in classe e delle interrogazioni, di fare i calcoli delle medie per ogni materia… ma d’altra parte quello è stato il mio ultimo anno da studente modello, dal secondo anno presi le cose molto più alla leggera puntando al minimo risultato utile con il minimo sforzo necessario. Con il senno di poi, se potessi, mi prenderei a ceffoni. Ancora non riesco a capire perché avessi tanta rabbia dentro di me a 15 anni, in parte è normale, ma probabilmente avrei fatto meglio a sfogarla in modo diverso, piuttosto che privarmi di certe opportunità.
Il ’93 è stato l’anno in cui ho iniziato a fumare, in cui inizia a frequentare la palestra, in cui passai il mese di luglio a leggere tutto quello che avevo per casa di Pirandello , l’anno in cui, da buon fan sfegatato, attesi con impazienza l’uscita di “Zooropa” degli U2 senza poi accorgermi che tale album avrebbe rappresentato la fine del loro periodo migliore, l’anno in cui ho gettato le basi per alcune amicizie che durano ancora, l’anno in cui volevo iniziare a suonare la batteria, in cui  i miei pensieri per il gentil sesso si spostavano da una ragazza all’altra ogni mese, ma inevitabilmente non si concretizzavano mai, l’anno in cui, a dispetto di quello che costantemente diceva di me una professoressa, decisi che non sarei diventato un ingegnere, è stato l’anno in cui avevo lo stesso taglio di capelli di adesso, l’anno in cui, quando alle 7 di mattina mettevano “Nevermind” o “In utero” sul pullman, mi rovinavano la giornata; è stato anche l’anno in cui ho smesso di andare in chiesa, l’anno in cui ho consumato i vinili di De Andrè di proprietà di mia sorella e le sue cassette di Guccini e De Gregori.
È stato sufficiente sfogliare poche pagine di un diario per risvegliare una quantità di speranze, illusioni e sogni ingenui che per un po’ hanno preso il posto del cinismo nel cuore indurito di un ultra trentenne.

mercoledì 16 novembre 2011

Like a rolling stone

Finalmente un fine settimana come si deve!
Il week end  passato è stato un condensato di attività che mi fanno stare bene, l’emblema di come vorrei passare il mio tempo libero.
Tutto è iniziato sabato mattina con la partenza alla volta della capitale, il tempo era splendido e i colori dei sibillini incantevoli. Non poteva mancare una sosta per ristorarsi con specialità locali.
Raggiunta Roma con molta calma ne ho approfittato per una breve passeggiata  prima dell’evento della giornata: il concerto di Mark Knopfler e Bob Dylan al Palalottomatica. Del primo ho già visto molti concerti e sono quasi stufo di parlarne, il suo controllo sullo strumento è stupefacente… legati, bending, rake,  sono totalmente funzionali al pezzo e mai artefatti, la chitarra emerge senza mai sembrare ridondante. Invece era la prima volta che assistevo ad un live del Menestrello.. ecco.. ha sempre avuto una voce non proprio sublime, ma ora è diventata decisamente INASCOLTABILE, a tratti fastidiosa… eh, diciamolo!
La domenica è stata dedicata ad una lunga passeggiata per il centro e alla visione della mostra su Filippino Lippi e Botticelli, alla scuderie del Quirinale. Non sono un esperto di arte, ma i colori della “Madonna con bambino” conosciuta anche come “Madonna Strozzi” mi sono rimasti negli occhi. Leggendo i documenti ho trovato curioso come i mecenati di un tempo,  nei contratti con gli artisti, pretendessero l’uso delle migliori materie prime… il parallelo con i ricconi di adesso è impietoso.
Dopo la mostra altra breve passeggiata e rientro molto tranquillo a casa, con annessa cena in quel di Visso, per recuperare un po’ di energie con del buon tartufo.
Non potevo chiedere di meglio, ho nutrito corpo, spirito e cervello, interrompendo per un po’ la noiosa routine.



lunedì 14 novembre 2011

Can't find my way home

Can't find my way home by aftermidnight78

Il bello della musica e dell’arte in generale è che un’opera o una canzone una volta pubblicate smettono di essere proprietà esclusiva dell’artista e diventano proprietà condivisa tra tutti gli ascoltatori. Alcune canzoni hanno segnato così tanto periodi della mia vita che ormai fanno parte del mio bagaglio di ricordi, sono legate a doppio nodo a certi percorsi e a certe persone.
Ci sono poi canzoni che si presentano più volte lungo il nostro cammino, in maniera ciclica, magari con senso e significato cambiati; una di queste è “Can’t find my way home” inclusa nell’album “Blind Faith” dell’omonimo supergruppo formato nel 1969 dai due ex Cream Clapton e Baker, dall’ex Traffic Steve Winwood (*) e dall’ex bassista dei Family Rich Grech. Furono la penna e la chitarra di Steve Winwood  a partorire questa breve ballata acustica che tanto mi assilla ultimamente.
Il primo incontro con questa canzone lo ebbi nel 2005, quando, in preda ad una vera e propria bulimia musicale, inizia ad ascoltare ogni cosa prodotta tra il 1965 e il 1975. (Già, sono tremendamente affetto ad pregiudizi, è un mio limite molto evidente, ma il decennio racchiuso tra “Rubber Soul” dei Beatles e “Wish you werer here” dei Pink Floyd non credo che potrà mai avere eguali)
Bene; ricordo che comprai questo disco perché ero rimasto impressionato in maniera molto positiva dai Traffic e dai Family, e conoscendo bene il Clapton dei Cream ero sicuro che il loro sodalizio non mi avrebbe deluso. Infatti non fui deluso, ma neanche estremamente entusiasta, e anche adesso credo che il loro lavoro fu buono, ma mancante della necessaria coesione, con Clapton sotto tono e Winwood nel ruolo di leader. Un disco con pochi acuti, con spunti interessanti poco approfonditi ( le esplorazioni dal sapore vagamente jazz di “Do what you like” avrebbero meritato migliori sviluppi), che si tiene in piedi più che altro per le capacità tecniche degli interpreti.
Il pezzo in questione, comunque, è entrato a far parte di quel ristretto gruppo di canzoni che non solo segnano un periodo della mia vita, ma si ripresentano qualche tempo dopo sotto nuova veste.


 
Come down off your throne and leave your body alone.
Somebody must change.
You are the reason I've been waiting so long.
Somebody holds the key.

But I'm near the end and I just ain't got the time
And I'm wasted and I can't find my way home.

Come down on your own and leave your money at home
Somebody must change.
You are the reason I've been waiting all these years.
Somebody holds the key.


But I can't find my way home.
But I can't find my way home.
But I can't find my way home.
But I can't find my way home.




Durante quell’anno (2005) questi versi accompagnarono l'incontro lungo il mio percorso con una persona molto importante, che mi diede la forza di cambiare alcuni aspetti della mia vita, compresi alcuni lati del mio carattere. In lei ho trovato la “strada di casa”, era lei ad “avere le chiavi” ed ero io a “dover scendere dal trono” e a “dover cambiare”.
Anni dopo, ad inizio 2011, questa canzone ha gli stessi protagonisti, ma a parti invertite, la dolcezza di 6 anni prima lasci spazio alla delusione mista al rancore e le chiavi non servono più per entrare a casa, ma per uscirne.
Ieri sera, attanagliato dalla malinconia, ho voluto affrontare e superare il disagio che ora mi trasmette questo pezzo, ormai simbolo di illusioni e frustrazione delle stesse, e l’ho suonata e cantata. Ahimè, anzi, ahivoi, non sono affatto dotato dal punto di vista chitarristico, men che meno dal punto di vista canoro, ma ho troppe chitarre per casa per lasciarle a prendere polvere, e ho anche un microfono e un registratore digitale ( di scarsa qualità); quindi ho pensato bene di registrare il risultato di una piccola jam con me stesso alla chitarra ritmica, solista, basso e voce, la qualità non c’è, ma mi diverto così.


(*) Il buon Steve Winwood merita due righe tutte per lui per sottolineare il suo talento. Il suo inizio di carriera è folgorante, a 18 anni, con lo Spencer Davis Group, firma una hit di enorme successo: “Gimme some lovin’ “, (una delle poche canzoni che riesce a far muovere i miei piedi altrimenti saldamente inchiodati al terreno) e altri pezzi pregevoli, successivamente forma i Traffic, band eclettica, formata da elementi estremamente preparati. Lo stesso Winwood suona con disinvoltura chitarra, pianoforte e organo, cimentandosi anche al basso e alle percussioni, e facendo della sua voce versatile e potente un marchio di fabbrica del gruppo.  “Mr. Fantasy “ e “John Barleycorn must die” sono da segnalare tra i lavori dei Traffic. I citati Bllind Faith furono una parentesi chiusa la quale il Nostro tornò ai Traffic. Questo periodo è costellato da varie collaborazioni, tra le quali non si può omettere quella con Jimi Hendrix durante le registrazioni di “Electric Ladyland”, suo infatti è l’organo nella granitica “Voodoo Chile.

p.s.: Non ho la voce di Winwood e forse avrei fatto meglio a cantarla senza cercare di imitarlo... provvederò quanto prima a registrare una nuova parte vocale

venerdì 11 novembre 2011

Tears in heaven

Tears in heaven by aftermidnight78





Nel 2011 due persone molto vicine a me hanno perso un genitore. Per entrambe è stato un fulmine a ciel sereno, ma il loro modo di reagire è stato diametralmente opposto.
Ho riflettuto molto su come hanno affrontato un momento così delicato, che ha segnato inevitabilmente una svolta nelle loro vite. Per il mio amico in questione il padre rappresentava un ostacolo che gli impediva di trovare la sua strada. Da anni mi diceva che voleva spezzare queste catene, ed ora che il fato ha accelerato i tempi si è trovato un’autostrada di fronte a se e, coerentemente, è salito in macchina ed ha iniziato a percorrerla. Può sembrar crudo parlare in questi termini dopo la morte del proprio padre, ma la realtà è questa e credo sia peggio negare in modo ipocrita la rabbia che in certi casi si prova.
L’altro estremo è rappresentato da una ragazza che perde la madre, che da sempre ritiene la sua migliore amica, la roccia su cui appoggiarsi nei momenti di sconforto, un rapporto così stretto quanto raro. In questo caso il dolore è così forte che non le crea forti disagi nel riprendere normalmente la propria vita, anche a distanza di diversi mesi ogni cosa appare svuotata di senso se non si ha la possibilità di condividerla.
Non nego che entrambe le reazioni mi hanno stupito e hanno rafforzato in me la convinzione che un genitore, ad un certo punto, debba fare lo sforzo, seppur doloroso, di allentare il vincolo emotivo che ha con loro, favorendo il naturale processo delle cose.



Questa è per A., registrata in un momento poco poetico ( mentre attendevo che l’acqua per la pasta raggiungesse il bollore) ma non per questo meno sentita. Eric Clapton ha sempre ritenuto che sia stata una buona terapia per superare il dolore della perdita di suo figlio di 4 anni; e quando, anni dopo, si è reso conto di averlo superato ha smesso di suonarla.
Ecco, se potesse servire a qualcosa, te la suonerò ogni volta che vorrai.